di Laura Zamprogno
“Discover the Sensory Factors” è l’invito del Convegno internazionale promosso da Unione Italiana Vini, evento clou della 26a edizione del Simei. Un incontro patrocinato da Oiv, Ceev e Fivs alla scoperta della realtà complessa e multi-sfaccettata dell’analisi sensoriale, guidato dai più importanti esperti mondiali su un tema che costituisce un elemento chiave e strategico per lo sviluppo del settore vitivinicolo. Una disciplina scientifica, come ha ribadito Domenico Zonin, presidente UIV, sulla quale da tempo Unione Vini è impegnata e alla quale l’Associazione vuole ridare centralità e attenzione. Per comprendere come questo strumento in grado di identificare i profili sensoriali dei consumatori in funzione di vari fattori culturali e sociali, possa essere utilizzato per comunicare e misurare la sostenibilità a 360° di un vino e darne una definizione condivisa e univoca.
Il tema è stato esplorato dai diversi punti di vista, scientifico, culturale, economico, sociale, attraverso un dibattito interattivo che ha permesso agli stakeholder del settore (produttori, fornitori di servizi, operatori coinvolti in progetti di sostenibilità, consumatori) di confrontarsi direttamente, scambiare riflessioni e spunti e intervenire sui contenuti al termine di ogni sessione di lavoro, interagendo con i relatori e rispondendo – come in una sorta di talk show – a dei puntuali sondaggi istantanei.
Analisi sensoriale e sostenibilità: quale simbiosi?
A fare da fil rouge tra i diversi argomenti la riflessione se può l’analisi sensoriale giocare un ruolo nella sostenibilità e se sì in che modo. Per rispondere occorre prima di tutto aprire metaforicamente la “cassetta degli attrezzi” (o toolbox) della sensory analysis, compito affidato a Ulrich Fischer – professore presso il Dipartimento di Viticoltura ed enologia Kompetenzzentrum Weinforschung DLR Rheinpfalz, Neustadt. L’analisi sensoriale ha infatti a disposizione un’ampia gamma di tecniche. Dai test di preferenza alle analisi descrittive (effettuate da panel di esperti “calibrati” ed addestrati, validate da analisi statistiche); dal metodo TDS (Temporal dominance of sensations) – un test sensoriale dinamico che permette in fase di degustazione di monitorare in tempo reale il susseguirsi specifico degli aromi percepiti e la loro persistenza, indicando quello dominante – allo sviluppo di mappe di preferenza da test condotti su target diversi di consumatori. Alla base dell’analisi i nostri cinque sensi che costituiscono uno strumento altamente integrato, olistico, non riproducibile da una macchina, e quindi insostituibile. La sensory toolbox dell’analisi sensoriale è uno strumento di lavoro prezioso che permette di leggere in modo speculare le caratteristiche di un vino, dal punto di vista dell’esperto e del consumatore e di ottenere un feedback sugli attributi organolettici che hanno più successo. Una cartina di tornasole che ha una sua funzionalità anche dal punto di vista della sostenibilità. Ad esempio per individuare quali tecniche sostenibili hanno effetti positivi sugli aspetti organolettici di un vino. L’analisi organolettica potrebbe venire in aiuto per capire se le scelte del produttore vanno o meno nella direzione giusta del mercato anche in un’ottica di sostenibilità. Tanto più che oggi i cambiamenti climatici impongono di fare una riflessione urgente in questo senso: l’anticipazione della vendemmia (l’uva in media viene raccolta con un anticipo di 4 settimane rispetto al passato) ha degli effetti sullo sviluppo delle uve e quindi degli aromi. Ma non solo: l’analisi sensoriale permette di tradurre elementi strettamente legati al tema della sostenibilità come il terroir e la sua valorizzazione, il patrimonio variegato di suoli e paesaggi, e di comunicarli e portarli all’attenzione del consumatore. Svolgendo al contempo un’azione di educazione e avvicinamento al vino.
Uno strumento per sviluppare “wine styles”
E proprio l’attenzione al rapporto simbiotico con il consumatore è al centro della strategia della californiana E. & J. Gallo Winery, una delle più grandi aziende di produzione e distribuzione di vino al mondo, con oltre 5 mila dipendenti, 6500 ettari di vigne, 9 cantine, ed un totale di 80 brand commercializzati. Jennifer Jo Wiseman, vice president consumer e product insights, ha sottolineato come la sensory analysis sia uno strumento chiave che viene utilizzato e implementato a ogni livello della catena produttiva per sviluppare il vino finale. Da 15 anni a questa parte l’azienda ha investito molto sul settore e oggi vanta un portfolio di una cinquantina di esperimenti sensoriali. Con l’analisi sensoriale si costruisce “un vero e proprio ponte tra produttore e consumatore” attraverso il quale scambiare informazioni nei due sensi per poi proporre ai consumatori vini di stile, “wine styles”. L’analisi sensoriale permette di leggere la domanda del consumatore e di selezionare di conseguenza quegli attributi ritenuti importanti, sviluppare una risposta coerente e monitorarne il feedback per capire quali caratteristiche enfatizzare o minimizzare. In tal modo l’azienda migliora ed amplia il proprio portfolio con offerte che si basano su gruppi di consumatori di riferimento per ciascuna tipologia di vino e ha elaborato un codice segnaletico all’interno dei punti vendita finalizzato a guidare il cliente al vino che potrebbe piacergli.
Caffè e vino, due gemelli diversi
Anche per Carol Karahadian, director product and process technology and sensory di Starbucks, l’analisi organolettica non è accessoria quanto al contrario strategica e di supporto a tutti i portatori di interesse: a chi produce, perché permette di misurare la qualità di un prodotto e monitorarne nel tempo e a livello di ciclo produttivo l’omogeneità; di rilevare se un certo tipo di caffè rientra in un range accettabile o meno rispetto a dei marker chiave specifici; di scovare i gusti ricercati dal consumatore e puntare su questi se l’attuale offerta di prodotti non li contempla. In questo senso caffè e vino hanno molto in comune, comprese le criticità. L’analisi sensoriale è ancora prerogativa dei soli esperti. Non si fa poi abbastanza “squadra” a livello aziendale: occorre puntare sulla collaborazione tra membri dello stesso staff e sulla formazione che deve essere trasversale tra i vari settori della stessa azienda per arrivare ad avere un’identificazione completa del prodotto (del vino come del caffè). Anche sviluppando un lessico condiviso e maggiormente “friendly” dei descrittori chiave. Il retailer che si interfaccia direttamente con i clienti gioca per questo il ruolo chiave di interprete ai meno esperti e allo stesso tempo raccogliendo con la presenza capillare dei punti vendita un articolato quanto istantaneo feedback.
Il triangolo buyer-retailer-consumatore è il focus dell’organizzazione presentata da Jessica L. Ginger, member operations e implementation manager di “The Sustainability Consortium”, che opera in ambito globale e che fornisce dati e risorse in tema di sostenibilità restituendo ai retailer un’immagine a 360° dell’impatto delle loro vendite e dei loro prodotti. Oltre 100 i membri aderenti a questa realtà, costituiti da un’ampia gamma di organizzazioni tra cui società, ONG, fondazioni accademiche, organizzazioni di commercio ed esperti rappresentanti della società civile, per un totale di 117 categorie di prodotti interessati, dal settore tessile all’elettronica, dal food and beverage ai prodotti per la casa e la cura della persona.
Del resto oggi la vitalità economica del settore è dettata dal consumatore. Comunicare il carattere di un vino e gli elementi legati alla sostenibilità come la provenienza o il processo produttivo sono solo alcune delle applicazioni dell’analisi sensoriale che quindi diventa anche un potente strumento di marketing. O meglio ancora, di neuro marketing. Come ha spiegato nel suo intervento Vincenzo Russo dell’Università IULM di Milano, si tratta di una disciplina relativamente giovane nata per leggere le reali emozioni del consumatore ed aumentare la strategia e l’incisività della pubblicità. Oggi le nuove tecnologie permettono di misurare la frequenza con la quale ci soffermiamo su una sezione di una pagina web, definire quali scaffali di un supermercato attirano di più e per più tempo la nostra attenzione, registrare in modo automatizzato le variazioni impercettibili del nostro volto in risposta alla visualizzazione di una diversa gamma di prodotti, misurare la frequenza cardiaca e monitorare quali sono le zone maggiormente stimolate a livello encefalico. Insomma decifrare le modalità con cui i nostri processi decisionali avvengono su base emotiva.
La disciplina e le sfide di domani
Ad Ettore Capri – professore straordinario in Chimica agraria dell’Università Cattolica di Piacenza e direttore del Centro Ricerche OPERA – e Ulrich Fischer il compito di tracciare un bilancio consuntivo della giornata. L’analisi sensoriale deve uscire dal suo ruolo di strumento ad uso e consumo per soli addetti ai lavori ed esprimere la sua funzione di collante tra i due estremi della filiera vitivinicola, produttore e consumatore. Per farlo occorre intervenire sul linguaggio, in particolare svilupparne uno condiviso, universale e accessibile anche ai non esperti; non tralasciare mai, nelle considerazioni sul tema, il contesto socio-culturale del consumatore finale, sviluppando proposte specifiche sia a livello regionale che globale. Spesso i consumatori non hanno le idee chiare su cosa stanno cercando. I descrittori del vino del’analisi sensoriale se comunicati in modo accessibile a tutti possono guidare verso la scelta giusta. Ma soprattutto più che certificare la qualità di un vino, di definire in senso assoluto se un vino è buono, l’analisi sensoriale è qualcosa che permette di dire se quel vino è quello giusto “per me”. Come ha sottolineato Capri quello di oggi è l’inizio di un processo di reciproca contaminazione dall’humus estremamente fertile. La strada è ancora lunga. La trasparenza e la coerenza dovranno essere il comune denominatore del lavoro di tutti i portatori di interesse nell’ottica del raggiungimento del traguardo della sostenibilità del settore. Lasciandosi sempre guidare dal principio: pensare globalmente, agire localmente.
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