E’ ancora il Sangiovese la varietà più coltivata in Italia. Con 70.300 ettari, corrispondenti all’11% della superficie vitata nazionale, il vitigno tosco-emiliano conferma la leadership che già deteneva nel 2000, anno dell’ultimo censimento Istat. Sono i dati ricavati dalle tabelle rilasciate dalla Commissione europea che fanno il punto sullo stato delle varietà da uva da vino in Europa nel 2010, da cui si desume che il Sangiovese è al decimo posto nella top ten dei vitigni più coltivati, dominata dallo spagnolo Airén con oltre 239.000 ettari.
Nella classifica italiana dei primi venti, negli ultimi dieci anni, c’è stato qualche piccolo sconvolgimento. Varietà di estensiva coltivazione, come la pattuglia dei Trebbiani e il Catarratto, vedono ridursi notevolmente le superfici (con cali a due cifre), così come la Barbera, la cui crisi si riflette negli abbandoni: un quarto di superficie in meno in 10 anni, e perdita di una posizione, scalzata dal Merlot, che pure non gode di buona salute (-6%), spiantato, specialmente in Veneto e Friuli, a favore del Prosecco, che nello stesso arco di tempo vede un’impennata delle superfici dedicate, praticamente raddoppiate (16.000 ettari, il 2,5% del totale nazionale) e con un’arrampicata nella classifica dei vitigni coltivati, dal 17° all’11° posto. Effetto Prosecco che – combinato al Pinot grigio – si abbatte nel Nordest anche sul Tocai friulano (-70%) e sul Cabernet Franc (o meglio Carmenère), praticamente dimezzato.
In crescita (+4%) il Montepulciano, che resta al quarto posto, mentre in gran forma è il Calabrese (Nero d’Avola), che con oltre 18.000 ettari assorbe parte della superficie destinata ai bianchi, scala 5 posizioni e si piazza al settimo posto, scalzando il Trebbiano romagnolo e superando anche il Negro Amaro, rimasto stabile in ottava posizione e con superfici in leggero ribasso nel decennio (-1%).
Alla crisi dei Trebbiani (e dei grandi bianchi nazionali in genere, vedi Ansonica, Malvasia, Moscato bianco, tutti in ribasso), fa da contraltare la grande spinta all’impianto di Chardonnay, cresciuto in dieci anni del 40%, a 16.500 ettari, il 2,5% del totale nazionale. Il vitigno francese occupa l’ottava piazza nella classifica dei vitigni di maggiore coltivazione in Europa, con circa 73.000 ettari. E rimanendo in tema di vitigni francesi, non si può non segnalare la corsa al Syrah in Italia, passato in dieci anni dalla 75° alla 19° posizione, con un incremento di sette volte della superficie coltivata. In gran crescita anche il Pinot grigio, attestato a 10.000 ettari e passato dal 24° al 17° posto.
Per rimanere sul fronte bianchi, tra le varietà nazionali resistono (e anzi in alcuni casi rilanciano) i vitigni “minori”, come Grillo, Arneis, Pecorino, Fiano, Falanghina. Stesso discorso per i rossi, dove lo strapotere del Cabernet Sauvignon (terza varietà europea e dodicesima in Italia, con raddoppio decennale della superficie) non ha impedito il rilancio di varietà storiche come Primitivo (+40%), Aglianico (+7%), Corvina (+27%), ma anche Nebbiolo e Croatina. Notte fonda per i piemontesi Dolcetti (-18%), Freisa (-30%), Brachetto, mentre tiene bene il fronte dei Lambruschi, con l’unica eccezione segnalata per la varietà Marani (-46%), soppiantata dal Maestri, praticamente più che raddoppiato in superfici.
Pare insomma che il vigneto italiano in questi dieci anni abbia fatto una scelta radicale, ma non nel senso che ci si sarebbe potuti attendere quando si entrò in epoca “Parker”. I vitigni francesi sono entrati massicciamente nel nostro Paese: Cabernet Sauvignon, Chardonnay e Syrah insieme hanno guadagnato circa 18.000 ettari, ma nel frattempo si sono persi 4.000 ettari tra Merlot e Carmenère-Cabernet Franc. A fare da cuscinetto – e a fornire un’alternativa valida a questa “colonizzazione” – sono intervenuti nel Nordest il progressivo consolidamento del Pinot grigio sui mercati e l’esplosione recente del Prosecco, che ha fatto pulizia di molto vigneto dedicato ai vitigni francesi, mentre al Sud (specie Puglia e Sicilia) si è resistito all’internazionalizzazione forzata decidendo di concentrarsi su poche varietà italiane ma ben riconosciute dai mercati, sacrificando varietà di grande produzione e nel contempo scommettendo su vitigni minori. Effetto simile lo ha avuto il Lambrusco in Emilia, che con il suo costante successo sui mercati internazionali ha spento sul nascere le tentazioni dell’espianto.
I primi 20 vitigni coltivati in Italia – Ettari 2010 e variazione % sul 2000
E i primi 10 in Europa
Fonte: elaborazioni Corriere Vinicolo su dati Commissione europea
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