Da Mosca, Alexander Sidorov
Il mercato russo del vino ha subito duri colpi durante l’anno passato. In autunno il rublo si è svalutato bruscamente, i prezzi dei vini d’importazione sono cresciuti contemporaneamente con il calo degli acquisti da parte della popolazione. C’è stato un momento in cui le vendite erano praticamente ferme. Gli esperti facevano previsioni poco consolanti aspettando la diminuzione drastica delle importazioni e la ristrutturazione del mercato. Sembrava impossibile uscire da questo buco senza gravi perdite. Tuttavia oggi la situazione appare molto più ottimistica.
Prima dell’inizio dell’inverno 2014 il rublo ha perso circa la metà del suo valore e il 16 dicembre ha subito un vero e proprio crollo per la prima volta dall’agosto del 1998. Quel giorno in cambio di 1 euro si davano 100 rubli contro 43 del mese di aprile e persino 70 del giorno prima. Questa situazione è stata provocata da una serie di fattori economici strutturali e di congiuntura. Tra i più importanti è da annoverare il crollo dei prezzi del petrolio da 100 a quasi 50 dollari al barile, che ha ridotto le entrate nelle casse dello Stato coinciso con le scadenze dei pagamenti per i crediti monetari internazionali alla fine dell’anno.
Come è noto le sanzioni economiche introdotte dagli Usa e dall’Ue hanno limitato notevolmente l’accesso delle aziende russe ai crediti esteri. Di conseguenza sono state costrette ad acquistare grosse somme di valuta estera in tempi molto brevi sul mercato interno. Non c’è da sorprendersi che a un certo punto si sia creato il panico sul mercato ed il tasso di cambio ha iniziato a salire vertiginosamente.
Gli effetti sul vino
Il brusco indebolimento del rublo ha colpito duramente le aziende commerciali importatrici di vino. Il fatto è che i loro affari sono a lungo termine e si basano su un complicato sistema di pagamenti dilazionati. Di solito gli importatori prendono il vino dai produttori in acconto o con un pagamento anticipato minimo, lo portano in Russia, vendono tramite le catene di distribuzione, ricevono i soldi dai dettaglianti (grosse catene commerciali), li convertono in valuta e solo dopo pagano i fornitori esteri. In condizioni di mercato normali passano alcune settimane o anche mesi. Però se in una qualunque fase della filiera accade un “contrattempo”, questo si ripercuote inevitabilmente su tutta la catena. Il problema sta nel fatto che alla fine dell’autunno e all’inizio dell’inverno molte grosse catene commerciali pagavano gli importatori con un grande ritardo, sfruttando il proprio potere e l’entità degli affari (alcuni non hanno tuttora saldato i debiti). A loro volta gli importatori sono stati costretti a pagare i fornitori spendendo il doppio per la valuta estera e attingendo non dal profitto ma dalle riserve interne. Di conseguenza con le brusche oscillazioni del cambio le aziende importatrici subivano enormi perdite.
Come ha notato Irina Fomina, presidente del consiglio d’amministrazione della MBG, sono state maggiormente danneggiate le società con una rete di filiali molto vasta. Uno dei colossi del mercato russo del vino, la Rusimport, è stata costretta a dichiarare fallimento proprio per questo motivo.
Il secondo problema consiste nella diminuzione della domanda da parte della popolazione. Di solito i mesi che precedono le feste natalizie vedono un’impennata di tutte le vendite. Stavolta il calo brusco del rublo ha provocato l’aumento dei prezzi di generi di consumo, tradottosi in calo dei consumi e in un’ondata di licenziamenti. La gente si è messa a risparmiare, mettendo da parte i soldi per un’eventuale emergenza e dando la preferenza a prodotti più economici. Infatti, se prima della crisi compravano il vino a 500 rubli a bottiglia (circa 11-12 euro), adesso cercano il vino a 300-400 rubli (5-6 euro, considerando l’attuale tasso di cambio).
Inoltre, c’è da tener presente che tanti hanno semplicemente rinunciato all’acquisto del vino non ritenendolo un prodotto di prima necessità.
Prezzo minimo? Archiviato
Nella situazione di panico scatenatasi sul mercato in inverno, tra le diverse strutture governative sono circolavate proposte di imporre un prezzo minimo per le bevande alcoliche d’importazione. La discussione è stata molto animata, soprattutto per quanto riguarda lo spumante. Tuttavia i periti del ministero dello Sviluppo economico hanno fornito una conclusione negativa sulla questione raccomandando di astenersi dai regolamenti e di lasciare al mercato stesso la possibilità di gestire la situazione. Oggi possiamo affermare con certezza che la decisione presa era pienamente corretta.
Situazione in lento miglioramento
Tuttavia attualmente la situazione sta gradualmente migliorando. Grazie alla politica intelligente della Banca centrale russa, che ha aumentato il tasso d’interesse ed ha creato un deficit della valuta nazionale, la discesa del tasso di cambio si è fermata. Contemporaneamente il prezzo del petrolio è leggermente aumentato. Di conseguenza ad aprile del 2015 il cambio con l’euro è diminuito fino a 53 rubli e si pensa che questo non sia un limite invalicabile. La gente si è tranquillizzata e si sente più sicura: a occhio nudo, tanto per dare un indicatore empirico, si vedono molte più auto circolare per le strade di Mosca, i ristoranti sono più affollati, tanta gente parte per l’estero nel periodo delle tradizionali festività di maggio.
E’ comprensibile che le aziende venditrici di vino abbiano cercato di proteggersi dai rischi. Ancora in autunno in previsione delle brusche oscillazioni del tasso di cambio hanno acquistato quanto più vino possibile ai prezzi vecchi. In questo modo gli importatori sono riusciti a essere più flessibili nella politica dei prezzi all’interno del Paese. A dicembre tanti ma non tutti hanno alzato i prezzi di vendita del 20-40% circa. Adesso li stanno rivedendo al ribasso in modo lento ma costante. E’ vero che i guadagni degli importatori sono diminuiti, ma non sono arrivati al punto critico da chiudere l’azienda e ritirarsi dal mercato. Il commercio del vino d’importazione è ancora redditizio e crea profitto.
Per essere precisi, Rusimport per ora rimane l’unica grossa azienda dichiarata fallita. Facciamo notare che ancora a dicembre molti esperti ritenevano che nel futuro immediato fino al 30% delle aziende sarebbe uscito dal mercato. Niente affatto, stiamo osservando un trend opposto. L’azienda Mosel, uno dei player più grandi nel Nord-ovest della Russia, che qualche tempo fa ha annunciato la chiusura delle filiali e stava per sottoporsi al procedimento fallimentare, oggi sta tornando sul mercato.
Evoluzioni del mercato
Per comprendere meglio il quadro complicato e contraddittorio della crisi bisognerebbe aggiungere alcuni particolari. Negli ultimi sei mesi a Mosca, San Pietroburgo e altre grandi città sono stati chiusi parecchi ristoranti, soprattutto di fascia alta. Però al loro posto sono stati aperti tanti nuovi locali economici nel prezzo, buoni per qualità del cibo e con una discreta carta dei vini. Inoltre, negli ultimi mesi sta avvenendo un vero boom dei wine bar dove il vino viene venduto con un sovrapprezzo minimo. Di sera sono pieni di gente, perciò si deve prenotare un tavolino in anticipo. I produttori italiani del vino possono scoprire qui le nuove prospettive. Nello stesso tempo il numero di studenti nelle scuole di enologia e di sommelier non è affatto diminuito, anzi è cresciuto. Secondo le parole di Anatoliy Kornev, vicepresidente della società Simple, “i russi continuano a bere il vino nonostante la crisi, questo fatto rappresenta la garanzia della sopravvivenza di tante aziende importatrici”.
Tutto ciò ci dà conferma che il mercato russo del vino si è rivelato molto più solido di quanto si potesse pensare, ed il consumo del vino, almeno nelle grandi città, non è diminuito. Un altro aspetto è che i consumatori hanno modificato e stanno modificando ancora le proprie preferenze: scelgono vini più economici, e anche l’HoReCa l’ha percepito e si sta adeguando. Inoltre, è cresciuto notevolmente il consumo dei vini russi, ed è un fatto positivo perché favorisce lo sviluppo della produzione vinicola nazionale.