Le cose in Italia vanno così: si sta sulle pagine di tutti i giornali per settimane, mesi, poi d’un tratto si sparisce diventando anonimi. E’ capitato così all’articolo 62, la norma che doveva mettere a sconquasso il sistema dei pagamenti in Italia, di cui tra ottobre e fine 2012 si sono scritti fiumi d’inchiostro. Salvo poi andare nel dimenticatoio, con la ninna nanna suonata dalla controversia (scandalosa) tra i due genitori, Ministero dello sviluppo economico (che lo disconosceva appena generato) e Mipaaf, che invece ne riconosceva non solo la paternità ma la piena vitalità.
E’ passata l’estate, siamo arrivati alla vendemmia e nel frattempo si è creata la giungla: chi lo applica, chi no, chi a metà, tanto la legge non si sa se c’è. Figuarsi poi in un Paese come il nostro, dove si aggirano le leggi anche quando sono chiare e cristalline.
Oggi scopriamo che l’articolo 62 – che ricordiamo vuole i contratti scritti e 30/60 giorni di tempo per il pagamento delle fatture a seconda che si tratti di uva o vino – è vivo e vegeto. A dircelo sottovoce è il Tar del Lazio, interpellato per una controversia privata, una storia di integratori alimentari da considerarsi o meno nella sfera d’applicazione della norma. Bene, dovendo per decidere studiare un po’ la norma, i giudici amministrativi non potevano non incappare nella controversia ministeriale, che si basava sull’interpretazione della direttiva 7/2011, recepita in Italia con il dlgs 192/2012: ovvero, visto che la direttiva non impone un termine perentorio per il pagamento, ma lascia alla libera contrattazione delle parti la scelta del termine, questo dettato, essendo di portata generale (legge europea) scavalca e neutralizza gli effetti della legge italiana.
Falso dice il Tar, recependo in sostanza le argomentazioni a suo tempo fornite dal Mipaaf: innanzitutto, dai tempi di Cicerone, anche gli studenti del primo anno di giurisprudenza sanno che una legge speciale anteriore non può essere annullata da una generale posteriore. In secondo luogo, nella direttiva europea sta scritto chiaramente che gli Stati membri possono adottare norme più restrittive e di maggior garanzia per i creditori, e in tal senso l’articolo 62 sarebbe di questa natura, introducendo (o almeno questa sarebbe la finalità, di cui si può discutere all’infinito) paletti più severi nel settore agroalimentare.
Tutto a norma quindi, gli operatori adesso sanno che se pagano oltre 30/60 giorni dal ricevimento della fattura sono fuorilegge, idem se non fanno un contratto scritto. Che poi la norma sia utile per il nostro settore, fronte Gdo, questo ancora deve essere dimostrato, essendo ancora lo strumento non proprio rodato (qui gli esiti della recente indagine dell’Antitrust sulla Gdo). Di sicuro vi è che a più riprese si era sostenuta la necessità di differenziare le transazioni verso il settore retail rispetto a quelle intra-filiera, dove tra l’altro l’esenzione per le cooperative rischia di creare notevoli diseguaglianze rispetto ai privati. Ma ce ne occuperemo ancora, come abbiamo sempre fatto sul Corriere Vinicolo.