A partire dagli anni Novanta i mercati vinicoli internazionali hanno sperimentato cambiamenti sostanziali che hanno stravolto la mappa produttiva globale e profondamente mutato le strategia di vendita, coinvolgendo in un processo di radicale rinnovamento anche gli aspetti delle logistica e della distribuzione.
Lo rileva un’analisi del Gruppo Rabobank, provider internazionale di servizi finanziari con casa madre nei Paesi Bassi, da cui emerge in particolare, nel contesto evolutivo mondiale degli ultimi due decenni, l’impressionante ascesa delle vendite di vini sfusi, quale risultante di una precisa strategia adottata soprattutto dai paesi del Nuovo Mondo.
Una scalata, quella degli sfusi, documentata nelle statistiche da un forte aumento del loro peso sull’intero ammontare delle esportazioni vinicole. Incidenza che, tra il 2001 e il 2010, è passata – in base ai dati elaborati da Rabobank – da un quinto circa a poco meno della metà.
Se a inizio decennio, in sostanza, la quota dei vini sfusi, in rapporto alle esportazioni complessive (l’analisi è sempre circoscritta ai paesi del Nuovo Mondo, ndr), superava di poco il 20%, contro l’80% circa attribuito agli imbottigliati, dopo appena due lustri la stessa percentuale, in crescita progressiva, si è arrampicata fino a rasentare la soglia del 45%, riducendo contestualmente l’incidenza dei confezionati a un 55% circa.
La ragione per cui i paesi export oriented abbiano dirottato gli sforzi sul segmento degli sfusi Rabobank la individua in un’oggettiva opportunità di crescita sui mercati internazionali. Lo spostamento del baricentro merceologico nell’ambito delle diverse tipologie di vini avrebbe risposto, in sostanza, a precise logiche commerciali sia di riposizionamento nei principali mercati di sbocco, sia di miglioramento della competitività sui circuiti mondiali, soprattutto nei rapporti concorrenziali con gli esportatori tradizionali. Favorendo al contempo lo smaltimento di ingenti scorte che hanno fortemente condizionato il mercato e la dinamica dei prezzi negli ultimi anni.
Quello che si è concretizzato, in sostanza, assegnando un maggior peso agli sfusi nelle politiche di esportazione, è stato uno spostamento di una consistente quota di valore aggiunto dal paese di origine a quello di destinazione. Calcolata da Rabobank in oltre 1 miliardo di dollari l’anno se si riportasse al 2010 la quota che l’imbottigliato aveva dieci anni prima (attorno al 67% medio).
Ci si riferisce in particolare al valore generato dalle attività di confezionamento (packaging) e di distribuzione all’ingrosso. Al riguardo – spiega l’analisi Rabobank – si sono riscontrati, nella pratica, due distinti comportamenti. In un primo caso il valore aggiunto dalle attività di confezionamento e di distribuzione, seppure trasferita nel mercato di destinazione, è rimasto in capo al produttore/esportatore, che è anche l’unico detentore del brand.
Nel secondo caso il produttore ha ceduto invece a un soggetto terzo i vini sfusi esportati, perdendo il controllo della filiera e del brand e rinunciando al contempo al valore aggiunto generato dal packaging e dalla distribuzione nel paese di destinazione. Quest’ultimo approccio è apparso finora più diffuso in situazioni di strutturale eccedenza produttiva o in mancanza, ovviamente, di un’adeguata rete di distribuzione all’estero da parte dell’azienda di produzione.
In generale – spiega ancora lo studio – la convenienza a esportare gli sfusi, rispetto ai vini imbottigliati, deriva comunque da un’oggettiva riduzione dei costi, a prescindere dalle scelte di delocalizzazione.
Risparmi che coinvolgono diverse voci: dal trasporto all’acquisto di materiali diversi (vetro, bottiglie, tappi, etichette), dal costo della manodopera alle linee di imbottigliamento. L’effettivo risparmio dipende, naturalmente, dalla maggiore o minore propensione (e capacità) a realizzare economie di scala (in sostanza a fare massa critica) e dal grado di efficienza del produttore/esportatore. L’abbattimento dei costi di trasporto, per esempio, è strettamente correlato alla possibilità di spedire volumi di vino consistenti, prerogativa spesso rispettata dagli sfusi. Un aspetto, quest’ultimo, che non a caso risponde appieno alle caratteristiche del mercato internazionale, ingolfato da anni da un livello di giacenze in eccedenza fisiologica.
Basandosi su interviste agli operatori Rabobank fornisce anche una stima dei potenziali risparmi associati alla maggiore incidenza degli sfusi sui flussi complessivi di esportazione. Si parla, al riguardo, di abbattimenti di costo nell’ordine di 1,5-3 dollari per cassa da 9 litri. Che nell’ultima decade sono assommati, approssimativamente, sui 142 milioni di dollari annui.
Ma come si giunge a questa valutazione? La stima muove dall’assunto che tra il 2001 e il 2010 l’export addizionale di vini sfusi ha riguardato un quantitativo attorno ai 570 milioni di litri, corrispondenti a circa 63 milioni di casse. Questo delta deriva da un dato unico di partenza, rappresentato dalle esportazioni complessive di vini (sfusi e confezionati) dai paesi del Nuovo Mondo, che nel 2010, basandosi sulle valutazioni dell’Oiv, hanno riguardato un volume di 2,8 miliardi di litri circa.
Applicando le incidenze degli sfusi, del 23% nel 2001 e del 43% nel 2010, si ottengono volumi rispettivamente di 654 milioni e di 1,22 miliardi di litri. La differenza tra i due valori riconduce ai 570 milioni di litri (o 63 milioni di casse) addizionali stimati da Rabobank, da cui, applicando un risparmio medio di 2,25 dollari per cassa, si ottiene un minor costo complessivo attorno ai 142 milioni di dollari l’anno. Importo che in qualche modo è stato condiviso tra i diversi attori della filiera: dai viticoltori alle cantine, dai retailer ai consumatori.
E’ pur vero – spiegano ancora gli analisti olandesi – che almeno in parte il fenomeno della crescita degli sfusi, a scapito degli imbottigliati, riflette cambiamenti importati intervenuti in quest’ultimo decennio anche sul fronte della domanda. Il riferimento, in particolare, è alla crescente elasticità rispetto al prezzo riscontrata in diversi mercati di sbocco, che ha contribuito ad aumentare le pressioni competitive tra paesi esportatori. Ma anche alla maggiore concentrazione degli attori distributivi nel canale moderno e al crescente ruolo delle private label nella Gdo.
Al di là delle motivazioni – riconducibili alla domanda o all’offerta – che hanno determinato in quest’ultimo decennio l’aumento del peso degli sfusi sull’export complessivo di vini, resta valida una considerazione su tutte: in un contesto globale caratterizzato da costi tendenzialmente crescenti e da ridotti margini di manovra sui prezzi di vendita, agire sulla supply chain (la catena di approvvigionamento) diventa determinante per accrescere i livelli di competitività. E un’opportunità in tal senso è sicuramente offerta dalla possibilità di delocalizzare l’attività di confezionamento nel paese di destinazione, mantenendo il controllo del brand.
Bisogna anche considerare, per una migliore comprensione del boom degli sfusi, un’altra caratteristica che il mercato mondiale ha acquisito e consolidato in quest’ultimo decennio, quella che Rabobank definisce la “commoditisation” del vino, ovvero l’affermazione di prodotti più o meno indifferenziati realizzati in grandi quantitativi, con tecniche e processi industriali standardizzati e a basso costo unitario.
L’avvento dei “wine commodity” – spiega lo studio – ha profondamente mutato i cicli produttivi e le strategie distributive sul mercato globale. Un fenomeno assecondato, in molti casi, da norme che in qualche misura hanno autorizzato l’impiego di miscele (blending) senza l’obbligo di indicazioni in etichetta. E questo anche in conseguenza delle maggiori attenzioni che i consumatori sembrano in generale riservare al brand, o alla qualità ad esso associata, e al fattore prezzo, piuttosto che all’origine e alle caratteristiche dei vini acquistati.
Nei paesi cosiddetti emergenti i crescenti consumi di vino associati alla progressiva espansione della classe media tenderanno probabilmente a irrobustire l’influenza degli sfusi sull’evoluzione del mercato globale. Un caso lampante è quello cinese, mercato in cui un ruolo determinante è svolto da Hong Kong sia come hub, ovvero come crocevia per i vini importati, sia come piattaforma logistica e di ultima lavorazione, attività, questa, che include il confezionamento degli sfusi e l’attribuzione di un brand.
Il mercato potrà verosimilmente beneficare anche di nuovi stimoli sempre provenienti dai paesi emergenti: da un ampliamento della domanda russa, già in forte espansione, a una progressiva liberalizzazione degli scambi mondiali, dall’abbattimento delle proibitive tariffe ancora vigenti sul mercato indiano alla rimozione dei dazi brasiliani sulle importazioni di vini sfusi.
Il risparmio del bulk | |
Export totale volume 2010 (ettolitri) | 28.460.000 |
Export sfuso volume 2010 (ettolitri) | 12.237.800 |
Export sfuso 2001 | 6.545.800 |
Differenza | 5.692.000 |
Equivalente in casse 9 L | 63.244.444 |
Risparmio a cassa stimato (US$/L) | 2,25 |
Risparmio annuo (US$) | 142.300.000 |
Fonte: Rabobank