Si era partiti per crescere, ma si è dovuto pensare di più ad arginare. Non sempre riuscendo nell’impresa. Nessuno dei grandi Paesi esportatori chiude un bilancio delle vendite 2014 senza una qualche macchiolina. E il discorso vale per gli europei (che comunque sembrano avere una piccola marcia in più), così come per il Nuovo mondo.
L’Italia vede grandi crescite sullo spumante, grazie al traino della locomotiva Prosecco, mentre sul lato bottiglia la crescita è modesta, quasi azzerata. Sullo sfuso si è dovuto fare i conti con lo tsunami spagnolo, che ha spazzato via gli italiani da mercati strategici, come Germania ed Est europeo, fungendo in più da vero e proprio tappo sulla necessità di un aumento dei prezzi dopo una vendemmia assai scarsa.
La Spagna così festeggia il record dell’export, ma un record fatto di prezzi al minimo, dopo una vendemmia 2013 mostruosa che ha spinto le cantine a svendere per svuotarsi. Sulla bottiglia e sullo spumante l’anno non è stato affatto esaltante, specialmente sui grandi mercati, come UK, Germania e Usa.
La Francia brinda invece per il ritorno dello Champagne, ma dall’altra parte piange il disastro di Bordeaux non solo in Cina, ma anche a Ovest, solo in parte compensato dalle buone performance registrate dalle “seconde linee”, come Languedoc, Alsazia e Loira. Anno anonimo per i vini di Borgogna.
Dall’altra parte del mondo, gli Usa confermano lo stato di grazia in Canada, ma vedono magre performance sui mercati orientali, in parte dovute all’apprezzamento del dollaro nella parte finale dell’anno.
Argentina e Cile hanno dinamiche abbastanza difformi: tra i due, chi è messo relativamente meglio sono i cileni, che perdono qualche punto in Europa, non viaggiano forte in Usa, ma stanno sfondando nei mercati di vicinanza (Brasile in primis) e sempre più a Oriente (Giappone, Cina, Corea del Sud), in questo favoriti da accordi bilaterali che consentono grande competitività alle bottiglie cilene. Cosa che non può dirsi per gli argentini, alle prese con una crisi interna drammatica e che stanno continuando a perdere smalto in Nordamerica, il mercato più importante per le bodegas andine. Vanno meglio le cose in Brasile e Sudamerica in generale, e si sta aprendo una finestra interessante in UK.
Veniamo all’Oceania. Qui c’è da segnalare il ritorno della Nuova Zelanda, che pare aver rimesso ordine all’offerta, recuperando valore importante in mercati chiave come UK e Usa, e mantenendo un piede saldo anche sui vicini mercati orientali. Cosa non riuscita invece agli australiani, che ormai presentano sui mercati due facce ben distinte: quella dello sfuso, che va per lo più in UK e continua a crescere (il rapporto è ormai a 80/20), e quella della bottiglia, la cui perdita di quote in Nordamerica non è stata compensata nell’ultimo anno da crescite credibili in Giappone e Cina, che hanno finito per appannare anche le buone performance sul mercato di Hong Kong e Singapore. E questo nonostante l’alleggerimento del peso del dollaro australiano nel corso dell’anno.
Infine il Sudafrica, che ha vissuto un 2014 tutto sommato neutro, ritrovando un leggero riequilibrio nel rapporto sfuso/bottiglia a favore di quest’ultima: riequilibrio dovuto non tanto alla crescita fragorosa dell’imbottigliato, quanto alla contrazione delle vendite di sfuso, che sono state rimpiazzate un po’ ovunque dal più economico prodotto spagnolo. Nel 2013, di questi tempi, era stato il Sudafrica a giocare il ruolo della Spagna di oggi.
Infine, una nota sullo sfuso: è stato l’anno della Spagna, lo abbiamo più volte scritto. Causa ovrproduzione nel 2013, e in assenza di correttivi come la distillazione, le bodegas si sono trovate nella necessità di effettuare un fuori tutto pauroso, con prezzi in picchiata. Operazione che ha consentito di svuotare le cantine e di portar via mercati ai diretti competitors, come gli italiani, in Germania, Russia ed Est europeo.