Sul Corriere Vinicolo numero 28, in uscita il 16 luglio, pubblicheremo il lavoro di ricerca svolto dal Centro di ricerca per la viticoltura – Cra-Vit di Conegliano per conto del Consorzio del Soave. L’obiettivo, come spiega l’autore, Diego Tomasi, era quello di valutare le diverse risposte all’innalzamento delle temperature di pergola veronese, sistema d’allevamento tradizionale della zona, e spalliera (Guyot). Un lavoro iniziato dieci anni fa circa, e che solo ora – dopo aver messo in fila i risultati di più annate, alcune delle quali caratterizzate da estati torride – consente di avere un quadro piuttosto preciso e di poter fornire indicazioni robuste ai produttori della zona. Che come i loro colleghi di ogni parte d’Italia sono stati posti di fronte al dilemma se cambiare, “svecchiare”, oppure restare fedeli al proprio passato.
Il progetto Soave
La genesi del progetto ce la spiega Aldo Lorenzoni, direttore del Consorzio. “La viticoltura del Soave ha iniziato nell’ultimo ventennio un percorso di ammodernamento della sua struttura produttiva, attraverso una rivisitazione dell’impostazione degli impianti e l’adozione di nuove soluzioni tecniche. La necessità di uscire da schemi per troppo tempo creduti inamovibili è stata dettata dal bisogno di adeguare il vigneto alle nuove esigenze del consumo, della gestione e della manutenzione degli impianti. Il sistema produttivo del Soave si basa su tre elementi fondamentali e caratterizzanti: il suolo, che è al centro di una forte attenzione con il progetto Vulcania; il vitigno principale, cioè la Garganega, e la forma di allevamento tradizionale quale la pergola veronese”.
Per secoli l’allevamento della Garganega ha trovato nella pergola l’unico riferimento e negli ampi sesti di impianto la sola maniera di sfruttare la superficie. Dalla fine degli anni Novanta si è fatta strada una nuova concezione supportata da prove sperimentali che hanno visto nel filare un’alternativa. “Accanto a una scelta più oculata del portinnesto, del clone e del sesto di impianto – prosegue Lorenzoni – anche la forma d’allevamento è stata messa in discussione e l’attenzione è stata rivolta alla spalliera. Le stesse opportunità offerte dalla riconversione (per la verità poco utilizzata in questo contesto produttivo molto parcellizzato) sono state un buon banco di confronto tra chi ha scelto il Guyot e chi ha investito in una rivisitazione della pergola o la pergoletta soavese con braccetti autoportanti.
Che cosa ha fatto il Consorzio per aiutare nella scelta?
Abbiamo iniziato un’attenta analisi di confronto tra la pergola e la spalliera con potatura a cordone speronato e a Guyot. Di fatto in questi ultimi anni abbiamo sentito il bisogno di capire meglio i vantaggi e gli svantaggi dei due sistemi di allevamento, che in questa situazione di forti pendenze e di un incredibile frazionamento aziendale (la media per appezzamento è di circa 3 ha) possono essere confrontati sostanzialmente non come potenziale di meccanizzazione ma solo come miglior espressione qualitativa. Dal 2002 abbiamo dato inizio, accanto agli studi di zonazione, ad alcuni approfondimenti basati sullo studio dell’interazione tra forme di allevamento e qualità: l’obiettivo principale è stato quello di far fronte alla necessità di ridurre l’impiego di manodopera, di rendere più agevole la raccolta e in generale di semplificare gestione e manutenzione. La verifica è stata portata sulla pergola e sulle sue versioni riviste in chiave moderna che prevedono una struttura di sostegno più leggera, più aperta e più rispondente ad una gestione semplificata della chioma. Sul lato opposto si sono valutate le risposte produttive e qualitative del cordone speronato e del Guyot.
Che cosa è emerso?
Nel primo caso la fisiologia della Garganega ha reso la risposta produttiva troppo incerta e altalenante nel corso delle diverse annate. L’attenzione si è quindi spostata sulla potatura a Guyot con positive considerazioni complessive. A favore di quest’ultima soluzione vi è soprattutto la semplificazione nella gestione della parete vegetativa, della potatura e della raccolta. Bisogna però anche sottolineare la difficoltà di molti viticoltori nell’affrontare una nuova forma di allevamento con diverse necessità in termini di potatura e di gestione. La maggior problematica risiede nel carico produttivo che deve trovare un perfetto equilibrio con la parete vegetativa, pena un immediato calo qualitativo. La pergola da questo punto di vista permette un maggior raggio d’azione e il suo equilibrio risulta più stabile e meno soggetto ad andamento stagionale e quantità d’uva.
Al termine di questa riflessione, furono prese decisioni particolari?
Per la nuova Doc Soave Superiore, nel 2002, fu data una chiara indicazione: il diciplinare prevedeva che i nuovi impianti fossero realizzati solo con vigneti a spalliera.Ma l’anno seguente, il torrido 2003, ha indotto il Consorzio a ulteriori approfondimenti sull’influenza del clima nel comportamento della Garganega in relazione ai sistemi d’allevamento. Da quell’anno ci si è dovuti confrontare con un sempre più evidente aumento delle temperature medie, con sempre maggior frequenza delle ondate di calore. È sorta quindi in tutta la sua importanza l’urgenza di analizzare la risposta della Garganega anche in relazione all’esposizione dei grappoli alla radiazione solare, così diversa nella pergola e nella spalliera. L’analisi ha riguardato non solo la componente zuccherina e acida dell’uva, ma anche quantità e qualità degli aromi, molto sensibili ai valori termici. Accanto alle uve si sono analizzati i vini e le prove si sono protratte sino al 2011. Una lunga serie di dati produttivi, qualitativi ed enologici ha permesso di stilare un giudizio circostanziato sulla composizione gusto-olfattiva dei vini ottenuti con uve più (pergola) o meno (Guyot) protette dalla vegetazione. Soprattutto in certe annate, a dir il vero sempre più frequenti (2003-2006-2011), la temperatura dei grappoli esposti al sole rischia di eccedere i livelli ottimali per la sintesi e la conservazione degli aromi. Il confronto tra pergola e Guyot si è fatto quindi determinante per analizzare una risposta viticola ed enologica dettata dal sistema di conduzione.
Qualche riflessione
Senza anticipare i risultati a cui è giunto lo studio, ci limitiamo a dire che esso ha il pregio di offrire dati certi riguardo alla diversa risposta della pergola e del Guyot a quello che viene definito come “global warming”. Al di là di stabilire se sia meglio un sistema o l’altro, dice con chiarezza che i due sistemi, sottoposti a stress da calore, incidono enormemente sulla qualità organolettica del vino finale, dando in alcuni casi prodotti totalmente differenti. Qui si apre una riflessione di portata un po’ più ampia.
Fino a oggi in Italia la scelta della spalliera – possiamo dircelo con franchezza – è stata dettata più che altro da una sorta di “tendenza”, perché – si diceva – la moderna viticoltura va in quella direzione: basta pergole, tendoni, alberelli, ma impianti fitti, fittissimi, facilmente meccanizzabili, e che sono diventati il vangelo di tutti i disciplinari perché solo con essi si fa qualità in vigneto.
I fondi per la ristrutturazione hanno poi fatto il resto, incentivando la sostituzione degli impianti obsoleti ma privilegiando quelli che rispondessero ai caratteri sopra descritti. Il problema che in pochi si sono posti è però quello dell’adattamento di questa regola evangelica alle particolari condizioni delle diverse zone d’Italia: siamo sicuri che applicando la stessa regola dal Piemonte a Pantelleria il vigneto risponderà matematicamente allo stesso modo? La domanda è diventata più calzante nel momento in cui il mondo ha incominciato a girare dalla parte opposta rispetto al tipo di vino che si suppone possa venir fuori da piante progettate per avere gradazioni zuccherine naturali molto elevate. Di più, il pianeta ci ha messo del suo, e da fine anni Novanta a oggi ha inanellato una serie di estati da tropici che hanno messo in seria crisi l’equazione della spalliera come migliore dei sistemi possibili. Tanto che gli enologi sono sempre più sovente chiamati a correggere in cantina quello che la natura offre in maniera troppo generosa, e non è un caso che la dealcolazione abbia fatto capolino da noi negli ultimi due-tre anni.
Paradossalmente, ci troviamo con moltissimi vigneti nuovi e realizzati secondo i canoni della modernità che incalzati da tendenze di consumo verso vini leggeri da una parte e da eccesso di calore dall’altra paiono andare in estrema sofferenza. Che fare? La risposta non è semplice, anche perché rimettere mano a un vigneto ristrutturato è difficile (considerando che non si possono ottenere fondi due volte per una stessa vigna). Ecco perché studiare con profondità la materia, come ha fatto Soave – che peraltro è stato toccato solo marginalmente dal fenomeno della modernità – è un punto di partenza fondamentale per tentare, se non di dare una risposta, almeno di porre la questione che non ci si è posti anni fa.