Milano. “Qui da noi, in Italia, vite e olivo vanno sempre a braccetto. Dove trovi una, incontri anche l’altro”.
“Interessante, noi facciamo già vite, però mai nessuno ha pensato di impiantare oliveti… fino a pochi anni fa non apparteneva alla nostra cultura. Che temperature può sopportare un albero di olivo d’inverno?”.
“Beh, alcune varietà come la Leccino anche -10 gradi”.
“Allora potremmo cominciare a produrre anche da noi!”.
Questo, in sintesi, il curioso dialogo all’Oil bar del padiglione 15 del Simei tra un sommelier di olio e il direttore generale di Great Wall e manager di spicco del colosso alimentare cinese Cofco, Chen Xiao Bo.
Al 24° Simei quest’anno i cinesi sono arrivati più consapevoli del loro ruolo nel panorama mondiale del mercato vitivinicolo. I numeri sono dalla loro parte: la Cina è uno dei rari mercati del vino al mondo che crescono in maniera verticale e costante negli ultimi dieci anni. La sola Great Wall del signor Chen vende 50 milioni di bottiglie all’anno, di cui il 20% autoprodotte, con uve da vigneti impiantati nelle tre province dello Hebei (dove appunto la temperatura d’inverno scende anche a -10-15 gradi), nel musulmano Xinzhang, e nel cinesissimo Gansu, e il restante 80% proviene da vino importato. Il gruppo Cofco ha infatti acquistato due aziende vitivinicole in Francia e in Cina e quelle sono le principali fonti di vino di qualità dell’azienda con sede nella contea di Changli.
Certo, i numeri da capogiro nascondono una realtà più caleidoscopica e complessa di quello che sembra: “Signor Chen, perché Great Wall non ha mai pensato di comprare in Italia? Cos’hanno Francia e Cile più o di diverso da noi?”. “Scelte prese dall’alto. La nostra è una compagnia di Stato e le scelte strategiche di gruppo sono sempre prese in sintonia con il governo centrale”.
Dei primi tre colossi cinesi – Great Wall, Chengyu e Dinasty – il primo e il terzo sono al 100% di proprietà statale, il secondo ha una partecipazione al 50% di privati, comunque con forti legami con l’establishment dell’apparato governativo. Ogni decisione dunque deriva da una complessa sintesi di confronti e consultazioni anche politiche, oltre che imprenditoriali.
Ma allora l’Italia cosa può dare a chi produce vino in Cina?
“I macchinari – continua Chen XiaoBo -. Sul vino ognuno ha le sue scelte personali o per così dire ‘governative’, può piacere il francese, lo spagnolo, l’australiano… ma in fatto di macchine per enologia e imbottigliamento siete i migliori al mondo”.
Cosa vi ha colpito di più del Simei?
“Tante le innovazioni che meritano di essere prese in considerazione – spiega Qi JingBin, direttore del reparto imbottigliamento e vinificazione della Great Wall – per esempio le macchine diraspapigiatrici a membrana di Siprem, gli impianti di arricchimento mosti e di filtrazione tangenziale per regolare la carica di torbido del vino di Della Toffola, o i rubinetti ad azionamento elettropneumatico di Bertolaso”.
“Anche se – chiarisce Shao Liming, chief supervisor for wine business della contea di Changli (Hebei) – va detto che non tutte le vostre applicazioni si attagliano per produzioni di massa e abbastanza standardizzate come quelle cinesi. Per esempio le stelle universali per il trasporto bottiglie con le pinze che si adattano in automatico alla dimensione del collo della bottiglia di Gai sono molto interessanti ma sono pensate per produzioni speciali, a volume limitato”.
“Il panorama del nostro mercato infatti – spiega di nuovo Chen XiaoBo – è purtroppo ancora solo parzialmente legato a quello che c’è dentro alla bottiglia, alla pura e semplice qualità del vino, ed è ancora molto connesso a tutto ciò che alla bottiglia invece sta intorno, dal packaging al design. In questo senso ho trovato interessantissima la tecnologia Sleeve di Nortan, che permette di colorare e revampare in ogni forma e design possibile le bottiglie. Una soluzione molto adatta per il consumatore cinese, poco conoscitore del vino e sempre in cerca di colore, di novità”.
Allo stesso modo Miss Xue Hui, ceo della compagnia Shibai Xuan Park Wine Ltd. trova “molto interessanti le macchine che riescono a chiarificare il vino da rosso a rosé o da rosso tenue a rosso carico giocando sulla concentrazione dei polifenoli e s’è soffermata a lungo ad annusare e tastare i tappi in sughero poliagglomerati di Amorim, che si adattano per produzioni di massa per un mercato non del tutto maturo, per cui il vino buono deve avere necessariamente un tappo di sughero, poiché il consumatore identifica il sughero con tradizione, qualità e nobile eleganza”.
La delegazione tornerà alla prossima edizione di Simei-Enovitis? Dall’entusiasmo con cui hanno percorso i padiglioni, diremmo di sì. “E’ la prima volta che visito questa fiera e l’Italia, e ho trovato delle cose straordinarie”, spiega Ma YuMin, ceo di Xin Wine Equipment Ltd. Company, mentre sgrana gli occhi di fronte alle botti a doga singola di Garbellotto. Degusta un tocco di Parmigiano dal barrel bar a venti metri d’altezza e lo scambia per un pezzo di tofu. La Cina corre veloce ma la strada da percorrere è ancora lunga.