di Matteo Marenghi
L’innovazione abbisogna di investimenti, di ogni tipo. “Ismea tuttavia – ha ricordato Eugenio Pomarici dell’Università di Padova – certifica che solo il 7% del credito da parte delle aziende agricole è destinato all’innovazione; ciò testimonia anzitutto che l’innovazione non ha solo bisogno di soldi, ma rappresenta piuttosto un processo sistemico di rete fra molti attori, con capacità di progettare sistemi innovativi, magari innescati da politiche ad hoc. Il sistema finanziario, da parte sua, deve dedicare professionalità specifiche al mondo agricolo, con capacità di valutare i bisogni, la situazione reale e i progetti di innovazione delle aziende”. “Il credito agrario ha avuto un’evoluzione simile a quella della politica agraria – ha proseguito Mauro Catena, di CantineRiunite & Civ – e c’è oggi incapacità del sistema creditizio di comprendere le esigenze aziendali, ma anche incapacità delle aziende di presentare richieste in grado di guadagnarsi la concessione di un credito”. Il nostro Paese è pieno purtroppo di esempi di queste due incapacità, con esiti negativi di gestione dove poi le banche, loro malgrado perché il loro fine sociale ed il loro interesse sono altri, divengono le proprietarie delle aziende. Conclusione che le stesse banche non auspicano perché poi sono costrette a gestirle in prima persona, dato che non trovano compratori. Pur con tante eccezioni tuttavia, il settore vitivinicolo ha indici che certificano una buona capacità di restituire i capitali investiti. Certo l’adozione del contratto di rete fra più aziende rappresenta un’opzione perseguibile per piccole e medie imprese che potrebbero così condividere risorse (materiali ed umane) che singolarmente non potrebbero permettersi. “Sono però tuttavia notevoli anche i limiti della filiera – ha ammonito Catena – quali il comportamento del mercato interno, il mancato ammodernamento dei disciplinari, ruolo dei consorzi, la debolezza del mercato internazionale”.
Agricoltura e banche: due mondi con spesso poco in comune
Riguardo al dialogo con le banche ci sono ostacoli, quali il rating delle aziende. “Le piccole aziende infatti – ha ricordato Giovanni Giambi di Agrisfera Scapa (cooperativa di gestione di terreni con 13 milioni di euro di fatturato) – non producono un bilancio pubblico, con la conseguente difficoltà a fornire dati chiari e utili alle banche. Ciò porta gli istituti di credito o a non concedere il prestito, o a concederlo ma a un’onerosità tale che porta l’agricoltore a rinunciare. Servirebbe anche un maggior supporto da parte delle organizzazioni agricole che potrebbero aiutare i loro associati a presentare piani più credibili alle banche”. “Il rating agricolo deve essere trovato su valori diversi – gli ha fatto eco Luigi Bonato, dello studio associato Evoluzione Ambiente – dato che spesso l’azienda agricola è un’impresa che realizza il profitto una sola volta l’anno (alla raccolta). Inoltre quasi sempre ci sentiamo proporre finanziamenti della durata troppo limitata rispetto alla vita degli impianti; 5-6 anni contro i 30 della durata di un vigneto. Il mondo bancario di oggi è più ermetico e meno disponibile rispetto a quello di anni orsono; una volta c’era l’agronomo della banca, oggi non più!”.
Grandi investimenti per basse rese
L’agricoltura abbisogna di tanti soldi che poi hanno un rendimento basso, ma prolungato nel tempo; il mondo del credito invece vuole rendimenti elevati e nel breve-medio periodo. “Il settore viticolo – ha dichiarato Emilio Pedron di Bertani Domains – al pari di quanto è avvenuto in enologia, ha messo in atto un’innovazione fortissima, ma non senza costi. Si dice infatti che la vitivinicoltura ha retto bene la crisi, invece è vero che molti vitivinicoltori hanno pagato un prezzo altissimo, fino a dismettere la propria attività. La diminuzione dell’ettarato a vigna e delle imprese vitivinicole negli ultimi anni lo certifica senza ombra di dubbio! Noi infine dobbiamo costruire soprattutto valore immateriale, che è difficile da ottenere e poi da mostrare, ad esempio alle banche. Gli istituti di credito devono trovare modalità di garanzie diverse da chiedere ai viticoltori; dalla nostra noi invece dobbiamo imparare ad essere più trasparenti”.
“Per questo dobbiamo essere fortemente capitalizzati e patrimonializzati – ha spiegato il vicepresidente di Gruppo Italiano Vini (Giv), Claudio Biondi – ed abbiamo dovuto individuare operazioni di finanziamento coerenti con il ritorno di medio-lungo periodo tipico del nostro settore. Oggi tuttavia riusciamo, finalmente, a far mettere a garanzia non solo le ville settecentesche delle nostre proprietà ma le bottiglie in affinamento di Sforzato, Chianti Riserva, Amarone … perché il solo capitale fondiario (terra e miglioramenti) è largamente insufficiente a fornire garanzie dati i limitati scambi esistenti sul mercato della compravendita di aziende vitivinicole”.
Le banche sono pronte, … dicono
“Bisogna anzitutto distinguere fra credito agrario, che eroga prestiti collegati alle produzioni agricole, ed il finanziamento ipotecario che fa parte del credito fondiario – ha precisato Emanuele Fontana della Banca Popolare di Vicenza -. Sono oramai tante le figure che si muovono nel comparto agricolo (viticoltore, trasformatore, imbottigliatore…) e non c’è una risposta univoca ad esigenze così differenziate. Inoltre il sistema bancario certamente è carente nella conoscenza del mondo agricolo, anche perché la banca non ci ha mai guadagnato tanto con l’agricoltura. Così capita che sia noi che gli agricoltori non ci si muova nel modo corretto, come non è corretto che si continuino, su richiesta dell’agricoltore, a rinnovare cambiali agrarie che dovrebbero invece essere saldate a fine ciclo produttivo annuale. È inoltre vero che la banca monitora le performance aziendali agricole con strumenti non adeguati (reddito dominicale ed agrario, volume Iva, …). I finanziamenti pubblici, però, su quali si regge buona parte del credito agricolo, dovrebbero coinvolgere le banche non solo nel fornire garanzie ma nella valutazione della sostenibilità finanziaria dei progetti. In Francia avviene, e la banca trattiene i finanziamenti pubblici (OCM, PAC, PSR, …) come garanzia mentre eroga da subito il credito alle aziende”. Altra banca da sempre legata all’agricoltura è Cariparma-Credit Agricole. “Oggi in Francia – ha ricordato Ciro d’Apice dello stesso istituto di credito – 9 agricoltori su 10 sono cliente di Credit Agricole, banca che nasce proprio nel settore agricolo. Noi abbiamo innovato il modo di approcciare l’agricoltura con servizi dedicati a ciascuna delle principali filiere dell’agroalimentare, limitando così anche la difficoltà di leggere i dati aziendali”.
Qui la playlist con le interviste agli operatori e ai referenti scientifici che hanno partecipato alle varie sessioni di Enovitis Business