Il cambio di rotta nelle dinamiche di consumo nel mercato cinese del vino è ormai evidente,
come è emerso anche dalle dichiarazioni fatte da diversi osservatori, durante le ultime fiere asiatiche del vino.
Se, infatti, durante il ProWine di Shangai, il ceo di Wine Intelligence ha evidenziato che questo mercato sta andando verso una positiva normalità, fatta di persone che comprano vino per berlo e non solo per donarlo (ne abbiamo parlato qui), durante l’Hong Kong International Wine & Spirits Fair (5-7 novembre 2015), Justin Cohen, senior research associate al Ehrenberg-Bass Institute (University of South Australia), aveva parlato della trasformazione da un mercato di elite ad un mercato di massa.
Anche secondo il ricercatore d’Università australiana, lo spartiacque tra il prima e l’oggi sono state le politiche anticorruzione del Governo cinese, come raccontato Wines & Vines.
La parola d’ordine per vendere vino in Cina è oggi “disponibilità”, e non si tratta solo di disponibilità fisica (avere vino per un numero sempre crescente di consumatori), ma anche mentale, perché è necessario capire cosa spinge oggi un cinese a comprare vino e come quindi lo si deve vendere.
L’off premise, ad esempio, si dimostra un canale di vendita più adatto per la vendita i vino rispetto a quello della ristorazione (vi sono in Cina un numero enorme di ristoranti tradizionali ma in quasi nessuno si serve vino). In un paese in cui ci sono quindici città con una popolazione superiore ai 5 milioni di abitanti, ed altre 50 con una popolazione superiore al milione di abitanti, chi abbia la possibilità di garantire un buon volume di bottiglie può trovare accordi con la GDO, tanto è vero che le grandi multinazionali del settore wine & spirits stanno già facendo buoni affari in Cina.
Ma oltre alle quantità, dicevamo, è necessario un approccio mentale, che guarda oggi ai potenziali consumatori abituali e non solo a sofisticati appassionati e sommelier. Si devono offrite brand facili da pensare, e da riconoscere
FEB