Di Fabiano Guatteri
Non ha bisogno di grandi presentazioni, Carlo Cracco, chef dell’omonimo ristorante a Milano. Chef patron del ristorante Cracco a Milano. La sua, è una cucina contemporanea che nasce da basi classiche, per poi svilupparsi attraverso contaminazioni e sfumature molto attuali. Anche Cracco ha partecipato a Expo cucinando, a Identità Expo, sia un proprio menu che uno a quattro mani con lo chef Mauro Colagreco di Mentone (ristorante Mirazur ndr), argentino, ma francese d’adozione.
Expo ha visto una grande risposta da parte degli chef. Quale ritiene possa essere il contributo della ristorazione alla tematica che ha animato l’esposizione universale appena terminata?
Il problema è che dai cuochi tutti si aspettano tante cose, ma i cuochi non hanno la bacchetta magica. Se oggi si parla tanto di cucina e di cibo in buona parte è merito dei cuochi. Per quanto riguarda lo spreco, in cucina non dovrebbe esistere. Quando nel mio ristorante qualcuno butta via qualcosa gli ricordo che quello scarto l’abbiamo pagato quanto ciò che finisce nel piatto. Buttare via un ingrediente, che magari ha richiesto molto tempo per poter diventare utilizzabile, o anche solo una parte di quell’ingrediente, è un delitto. Se non si può utilizzare come si vorrebbe, occorre inventarsi un altro modo di impiegarlo.
Ci sono in questo momento dei segnali che possono far presagire come sarà la cucina del prossimo futuro?
La cucina del futuro sarà sempre più legata a delle radici, a un ciclo che va avanti e poi si ripete, è un moto perpetuo, non è una cosa che stabiliamo noi. Noi possiamo accelerare questo processo o rallentarlo. Ma è un processo che va avanti.
Carta dei cibi, ma anche dei vini. Che ruolo gioca attualmente il vino nella composizione di un menu?
Il luogo migliore per conoscere un vino è sicuramente al ristorante perché c’è il sommelier che lo racconta, spiega la differenza tra le annate, chi l’ha prodotto, come l’ha prodotto, se ha utilizzato o meno le barrique… Se il vino si acquista invece in negozio e si guarda solo al prezzo non si capirà mai cosa c’è dietro quella bottiglia. Il ristorante è sempre stato deputato luogo di conoscenza del vino. Per quanto riguarda il ruolo del vino…è un ruolo fondamentale, ben più che importante.
Pensa che in un prossimo il ruolo del vino nella composizione di un menu rimarrà tale?
Non cambierà niente; sarà sempre più importante. Però ciò che più importerà sarà la differenza. Non serve a nessuno avere un vino uguale in tutto il mondo. Avere invece vini diversi, con espressioni diverse legate ai vari territori è interessante perché permette di capire il territorio stesso e le sue differenze.
Si può ipotizzare come sarà il vino nel prossimo futuro?
Quello del futuro sarà un vino che si dovrebbe bere dopo tantissimi anni. Bisogna imparare come si faceva una volta: si faceva il vino e si metteva in cantina e man mano si beveva quello più vecchio, più pronto. Bere un vino giovanissimo, appena fatto è un delitto; sarà anche buono, ma non è pronto. È come abbattere un animale troppo giovane; occorre invece allevarlo e portarlo all’età giusta. Almeno, questo è ciò che penso.
Per cui ritiene si tenderà a bere di più i vini invecchiati?
Me lo auguro. Il vino deve durare tantissimi anni. Il bello del vino è andare a vedere come si evolve, come si modifica. Se si beve giovane è spigoloso, non armonico. L’importante è bere vini maturi, che non significa necessariamente che debbano avere dieci anni.
Qual è il ruolo oggi della cucina italiana all’estero? Fa ancora da traino al vino o c’è bisogno che il vino italiano si contamini con le gastronomie locali?
Eh sì. La cucina italiana all’estero è forse il traino migliore. Quanti più ristoranti italiani di qualità ci saranno all’estero e tanto più vino di qualità si venderà. I ristoranti sono come ambasciate; si sceglie in quale andare e dentro permettono di scoprire un mondo. Se si crea un circolo dove ci sono il vino, i prodotti, le persone, i clienti, i luoghi, si crea un unicum e questo unicum permette l’apertura di un ristorante all’estero. Perché a volte facciamo fatica all’estero, perché non abbiamo i prodotti giusti e dobbiamo reperirli chissà dove. Riuscire andare insieme significa fare prima.
Secondo lei, tra le cucine “nuove” che si stanno affermando – es. etniche, vegetariane, vegane… – quali sono quelle che le cantine italiane dovrebbero considerare nel proporre i propri vini?
No, il problema del vino è molto diverso. Prima di tutto occorre conoscere il vino: i vitigni, il produttore, il territorio, l’annata. Dopo di che si sceglie il vino che più piace. Ma non è che la differenziazione delle cucine richieda di produrre vini particolari, su misura. Anzi più differenza c’è meglio è.