La situazione nel comparto dei ristoranti-bar sta andando purtroppo ancora male anche se in maniera meno invasiva. La differenza fra le nuove aperture e le chiusure registra ancora una volta un numero preceduto dal segno meno, ma di minore consistenza rispetto a quello dell’anno precedente. È quanto risulta dal rapporto stilato dal centro studi Fipe-Confcommercio su dati provenienti dagli archivi del registro delle imprese gestiti dalle Camere di commercio.
A livello complessivo il 2013 è stato per le imprese che offrono un servizio di ristorazione un anno ancora negativo sul fronte della movimentazione. Alla fine dei conti sono venute a mancare sul mercato circa 9.000 realtà. Il numero delle imprese attive è 315.665, ripartito in 148.164 bar (46,9%), 164.519 ristoranti (52,1%) e 2.982 (0,9%) mense e catering.
I bar hanno visto restringere la concorrenza di 4.295 unità e analoga situazione si ritrova nei ristoranti (-4.675), il cui numero continua a essere superiore a quello dei bar, perché nel primo caso si può disporre di maggiori gradi di libertà commerciale. Qui va registrata una curiosità nell’andamento differente fra la ristorazione tradizionale (servizio al tavolo) e il take-away. Nel primo caso il saldo tra aperture e chiusure è di -3.068 imprese; nel secondo è di -593 imprese. “Che la crisi porti i consumatori a privilegiare offerte più economiche – commenta il presidente di Fipe-Confcommercio, Lino Stoppani – non basta a spiegare perché i ristoranti tradizionali stiano soffrendo molto più dei take-away. Ci sono altre ragioni, come la struttura dei costi sempre più onerosa che ha ridotto produttività e margini, liberalizzazioni sbagliate che stanno dequalificando il settore, stili di vita che hanno cambiato il rapporto con il cibo, nuovi adempimenti, anche di natura fiscale e tributaria, che hanno penalizzato soprattutto i ristoranti tradizionali, a partire dall’Imu e dalla Tares o Tari che sia”.