Si sta verificando da tempo una tendenza al ribasso del prezzo dell’Amarone, almeno nel limite inferiore della fin troppo ampia forbice del costo di questo vino. Una situazione dovuta a diversi fattori in gioco. Ogni anno le bottiglie immesse sul mercato sono 13-14 milioni, tante, anche se i volumi potenziali sono persino più elevati. Negli ultimi 20 anni si è assistito a un’impennata delle uve messe a riposo che, dagli 8,2 milioni di chili del 1997, sono triplicate nel 2006 (23,8), per arrivare al picco nel 2008, con 29,8 milioni di kg. A parte annate sfavorevoli, come il 2009 e il 2014, questa crescita è proseguita fino al proficuo 2015, anno in cui si è viaggiato intorno ai 19 milioni di bottiglie potenziali. Si sta però verificando una propensione a fare scorta di uve destinate all’appassimento spinta anche dal successo strabordante del Ripasso: per disciplinare, per produrre quest’ultimo bisogna produrre giocoforza il primo, e il dibattito in zona è sul rischio che questo vincolo forzato possa nuocere all’Amarone, prodotto oltre le richieste di mercato effettive. Di qui le proposte di svincolare i due disciplinari, finora però respinte.
La presenza di Amarone a prezzi troppo bassi inquieta i produttori, come Andrea Sartori, presidente dell’omonima casa vinicola, che intervistato ha dichiarato: “C’è il rischio concreto che anche questo vino di pregio venga svilito e diventi quasi una commodity”. E che racconta come questo sia dovuto a bottiglie in svendita immesse da imbottigliatori fuori zona, ma anche da aziende dell’area di produzione e dalla cooperazione. Proprio quest’ultima “pesa” tra il 35 e il 40% in termini di superficie e di produzione dei vini Valpolicella, e negli ultimi tempi ha ridotto il vino imbottigliato e venduto a terzi, a favore di quello immesso sul mercato con brand propri, con una conseguente riduzione del prezzo.
Marco Sartori di Roccolo Grassi fa una proposta interessante: “La soluzione è mettersi tutti intorno a un tavolo, come si fa in Francia, per decidere come governare il mercato perché oggi continuiamo soltanto a subirlo”. E secondo lui un obiettivo potrebbe essere quello di aumentare il prezzo di 2 euro in 5 anni, riducendo il numero di bottiglie annue, a fronte di un elevato standard qualitativo.
La discussione intorno a questa denominazione è viva e nell’articolo integrale, che potete leggere sul numero 6 del Corriere Vinicolo, trovate anche gli autorevoli suggerimenti di Emilio Pedron, ad del Gruppo Bertani Domains, e Christian Marchesini, presidente del Consorzio Tutela Vini Valpolicella, che parla anche del supporto finanziario messo a punto con il Banco Popolare di Verona per sostenere i produttori, affinché le bottiglie possano affinare in cantina per più tempo e non vengano immesse sul mercato appena possibile.
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